La cultura del secondo dopoguerra ha cercato in tutti i modi di sbarazzarsi di Gabriele d'Annunzio, l'uomo che marchiò il proprio tempo e influenzò il futuro, alternando l'indifferenza alla condanna, totale e preventiva. La diffidenza ideologica verso l'interprete del superomismo, l'irritazione per il personaggio e per ciò che ha rappresentato si sono unite ai pregiudizi di una critica letteraria che, fingendo di colpire lo scrittore e il poeta, si scagliava contro il nazionalista, l'antidemocratico, il guerrafondaio, il decadente. D'Annunzio è stato visto spesso solo come precursore del fascismo, inventore dei riti di massa e di parole d'ordine sui quali si sarebbe fondato il regime. Ma a Fiume fu l'inventore di una democrazia e di una modernità che andavano oltre la destra e la sinistra, che anticipava i movimenti libertari e le costituzioni più avanzate della seconda metà del Novecento, fino a pensare addirittura un ordinamento militare che aboliva le gerarchie. Riscoprirlo significa assegnargli il posto che gli compete fra gli italiani, di cui fu un campione smisurato. Un testo sopraffino e di lettura comoda ed intrigante che non può mancare sugli scaffali delle librerie dei montecarlesi. Chissà se ebbe modo il buon Grabriele di transitare per queste parti nostre, magari da villa Cagnasso che tanti ospiti celebri si dice ebbe ad ospitare.
Principe Minimo
1 commento:
Propongo di adottare la carta del carnarno come statuto del comune montecarlese.
Il Tocqueville della piana.
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