AL VOTO
Poche ore, molta pazienza, e la mezzanotte di venerdì scandirà il silenzio, atteso, voluto, bramato. Poi il baccanale riprenderà, ancora, augurandoci sia il frutto dei fatti più che di altre straziate parole. Cinquanta e passa ore, un intero week end, dove tacerà la politica lungo la linea tutta del fronte mediatico. Minuti spazi di cui non c’accorgiamo mai completamente a tempo, rapiti dalla e della vita, incapaci d’apprezzarne le atmosfere offerteci d’una Italia che forse ancora c’è, liberata come in un fiabesco incanto del suo triste travaglio politico.
Non è disprezzo, tanto meno odio o viscerale rigetto quello che verga figuratamente queste parole. Descriverlo, farvene parte, significa tuffarsi tra i più immensi branchi terminologici che la lingua italica nostra ci offra, per venirne alfine fuori con un sentore che sa d’apatia mista al rammarico. Una sofferenza dispiaciuta, verso una realtà che riconosciamo, cui ci adeguiamo, eppure rifiutiamo. Negazione non della Politica, ma diniego amareggiato per questa politica, dello spettacolo continuo della sua umiliazione nell’animo nazionale.
Il forte bisogno non di minore politica, bensì di una Politica maggiore, dove si recuperino, o si tenti il difficile colmarsi, degli sprofondi di due baratri pericolosi, l’accresciuto distacco da un’etica – mai troppo radicatasi in tutta la storia d’Italia – della responsabilità e l’altrettanta ampliatasi distanza tra classe politica e cittadino. Nessuna retorica, nessuna generalizzazione in questo, solo ciò che resta in me al rientro serale dal cielo cupo di una campagna elettorale, la quinta personalmente militata, dove un qualunque sole nessuno ha visto mai albeggiare.
Ho scelto chi votare, altri altrettanto, molti ancora disquisiscono, ma auguro ed auspico una legislazione all’insegna della più vasta e reciproca collaborazione su quei temi ove occorre intervenire subito con la massima determinazione. Auspico, per amore ed un poco per timore della gente nostra stanca, un ritrovato – lo so, difficile - senso d’appartenenza ad un’unica comunità nazionale, concretato da uno spirito di servizio che ridesti il minimo di una fiducia, indispensabile, nella Politica italiana. Errare ancora, perseverando con lo spreco e con il disprezzo delle risorse di tutto un paese, innescherebbe micce che la storia d’Italia non ha mai fin troppo bene disinnescato. E non valga solo per i palazzi di Roma questo pensiero, ma per ogni municipio e municipalizzata, regioni e province, chiunque insomma ricopra responsabilità ed abbia il mano il portafoglio degli italiani.
Ed alla mia generazione, ed a quelle che la seguono e da cui mi sento separato dai secoli più che dai pochi effettivi anni, l’invito a non mancare il voto, ma a farne lo strumento cardine della propria piena e completa libertà come cittadini. Non votare significa non contare, non significa protestare o dare un segnale, lo avrete capito. Votare, specie quando potremmo nuovamente scegliere direttamente la faccia ed il cuore – si il cuore, non lo stomaco - di chi vogliamo ci rappresenti, significa ancora esercitare un controllo su chi ha il compito di intervenire, il dovere di decidere e risolvere quell’interesse comune – termine abusato tra gli abusati – che è ancora il nostro. Non fatemi voi essere retorico. Votate allora, votate chiunque, votate comunque e soltanto se non trovaste altre motivazioni, fatelo in memoria di chi ha difeso questo vostro diritto e vi ha concesso questo grande dovere.
Vittorio Fantozzi
Poche ore, molta pazienza, e la mezzanotte di venerdì scandirà il silenzio, atteso, voluto, bramato. Poi il baccanale riprenderà, ancora, augurandoci sia il frutto dei fatti più che di altre straziate parole. Cinquanta e passa ore, un intero week end, dove tacerà la politica lungo la linea tutta del fronte mediatico. Minuti spazi di cui non c’accorgiamo mai completamente a tempo, rapiti dalla e della vita, incapaci d’apprezzarne le atmosfere offerteci d’una Italia che forse ancora c’è, liberata come in un fiabesco incanto del suo triste travaglio politico.
Non è disprezzo, tanto meno odio o viscerale rigetto quello che verga figuratamente queste parole. Descriverlo, farvene parte, significa tuffarsi tra i più immensi branchi terminologici che la lingua italica nostra ci offra, per venirne alfine fuori con un sentore che sa d’apatia mista al rammarico. Una sofferenza dispiaciuta, verso una realtà che riconosciamo, cui ci adeguiamo, eppure rifiutiamo. Negazione non della Politica, ma diniego amareggiato per questa politica, dello spettacolo continuo della sua umiliazione nell’animo nazionale.
Il forte bisogno non di minore politica, bensì di una Politica maggiore, dove si recuperino, o si tenti il difficile colmarsi, degli sprofondi di due baratri pericolosi, l’accresciuto distacco da un’etica – mai troppo radicatasi in tutta la storia d’Italia – della responsabilità e l’altrettanta ampliatasi distanza tra classe politica e cittadino. Nessuna retorica, nessuna generalizzazione in questo, solo ciò che resta in me al rientro serale dal cielo cupo di una campagna elettorale, la quinta personalmente militata, dove un qualunque sole nessuno ha visto mai albeggiare.
Ho scelto chi votare, altri altrettanto, molti ancora disquisiscono, ma auguro ed auspico una legislazione all’insegna della più vasta e reciproca collaborazione su quei temi ove occorre intervenire subito con la massima determinazione. Auspico, per amore ed un poco per timore della gente nostra stanca, un ritrovato – lo so, difficile - senso d’appartenenza ad un’unica comunità nazionale, concretato da uno spirito di servizio che ridesti il minimo di una fiducia, indispensabile, nella Politica italiana. Errare ancora, perseverando con lo spreco e con il disprezzo delle risorse di tutto un paese, innescherebbe micce che la storia d’Italia non ha mai fin troppo bene disinnescato. E non valga solo per i palazzi di Roma questo pensiero, ma per ogni municipio e municipalizzata, regioni e province, chiunque insomma ricopra responsabilità ed abbia il mano il portafoglio degli italiani.
Ed alla mia generazione, ed a quelle che la seguono e da cui mi sento separato dai secoli più che dai pochi effettivi anni, l’invito a non mancare il voto, ma a farne lo strumento cardine della propria piena e completa libertà come cittadini. Non votare significa non contare, non significa protestare o dare un segnale, lo avrete capito. Votare, specie quando potremmo nuovamente scegliere direttamente la faccia ed il cuore – si il cuore, non lo stomaco - di chi vogliamo ci rappresenti, significa ancora esercitare un controllo su chi ha il compito di intervenire, il dovere di decidere e risolvere quell’interesse comune – termine abusato tra gli abusati – che è ancora il nostro. Non fatemi voi essere retorico. Votate allora, votate chiunque, votate comunque e soltanto se non trovaste altre motivazioni, fatelo in memoria di chi ha difeso questo vostro diritto e vi ha concesso questo grande dovere.
Vittorio Fantozzi
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