E’ un po’ come fosse l’avvio ufficiale della primavera, uno dei riti sacri che ci suonano a campana a ridestar le membra dalla fiacchezza rigida dell’inverno ormai decorso. Insieme ad altre feste e fiere del vicino contado, che annunciano la stagione della vita e del ripreso lavoro dei campi, così una volta, la “Fiera in Selva” – più correttamente “la fiera di Santa Maria in Selva” – è anche uno degli eventi che ci rimembra di quella metà dell’animo nostro montecarlese che è storicamente valdinievolino.
C’è sicuramente molto di che discutere su questo aspetto ed è certo anche a provocar ed innescar la discussione che “Il Tordo” ha dispiegato di nuovo le ali nei cieli infiniti del web. Il montecarlese, essere di per se curioso e fatto tutto a modo suo, sia quello sul colle che quello alla sua ombra, quanto si contamina di lucchesità e quanto intinge se stesso nella bella Valdinievole? S’è conservato immune o ne porta secolare congenita semenza? Il quesito è tratto e noi torniamo alla fiera.
Mi sono deciso a far visita più attenta per questa edizione del 2008, per narrarne un po’ qui sul nostro blog, perdendo la vista oltre il contingente e avviandola a ritroso nei secoli fino all’alba di quella prima edizione che prende la data del 1367, periodo in cui spentisi i fumi infausti di Vivinaia prendeva lenta la vita della fortificantesi Mons caroli, più avanti Montecarlo.
Per chi si addentra alla fiera di sabato (24 marzo) nel primo meriggio è ancora facile poter trovare parcheggio lungo il profilarsi della maestosa villa Belvedere, silente nel suo vistoso declino non poco guastato dalla carogna innocente di un elicottero in disuso dei vigili del fuoco (una curiosità felice: andate sull’archivio dell’Istituto Luce sul web, registratevi, poi con il motore di ricerca interno digitate borgo a buggiano e vi comparirà, tra i documenti del Luce che citano la località, il filmato di inaugurazione del Belvedere nel 1940 come “casa del vigile del fuoco”. Interessante).
All’incedere del cartello stradale che segnala l’ingresso in frazione Santa Maria, a ridosso di una delle trattorie in antico stile ancor degne d’esser visitate e più ancora apprezzate, prende avvio il lungo serpenteggiare dei banchi in fiera ed è piacevole, sotto un sole che ancor troppo assentava in questo preludio di 2008, penetrarvi con curiosità quanti pieroangeliana. Non conto ma ben rimembro le innumerevoli visite che nel corso di questi lustri di vita ho fatto, con genitori e zie, amici e amoretti, ho fatto a questa ricorrenza, sperso nel fiume stretto della folla e distratto dai colori di infinite bancarelle.
Ecco i gazebo dei gruppi di volontariato e della solidarietà, ecco i banchi degli amici del Marocco e dei nuovi arrivati dalla galassia cinese, i chioschi mobili di salsicce fumanti e porchette monumentali che mi fanno dimentico della vicina ora del pasto, le gabbie di conigli e pesci rossi, ed i vivai di tanto sudore frutto esposti con solerzia dagli agricoltori di tutta una valle. C’è posto pure per un uomo dall’aspetto vissuto, non lungo il lato dei banchi ma in mezzo alla folla, con la sua scatola di cartone e gli immancabili “pali” a fiancheggiarlo mentre si adopera rapido e furtivo nel gioco delle tre campanelle.. e dove sarà la biglia, sotto l’una o sotto l’altro? Mentre le mani esperte confondono i primi “furbischeri” attratti dal facile guadagno di quei pezzi gialli e verdi d’euro che tanto anelano nelle tasche degli italiani. Forse non è tanto il guadagno, ci ripenso, forse è solo la voglia di giocare e di veder giocare ad un gioco che non c’è più, che non si vede più, vietato ammonito bandito eppur presente nell’immaginario e nei ricordi narrati o di gioventù di tanti dei nostri padri e nonni. Passo avanti, con un sorriso che sa di nostalgia, per poi incrociare due carabinieri in pattuglai, entrambi con le mani giunte dietro la schiena, e già penso al rapido e tonto dileguarsi della premiata ditta dei campanelli chissà per quale vicolo o campo.
Svicolo tra miriadi di passeggini e mamme truccate, felice di non ricordare che siamo un paese con natalità sotto zero e che domani, quei bimbi fattisi uomini, possano non essere i figli di una razza in estinzione da preservarsi in chissà quale riserva. Chiacchiera chiacchiera nel ruminar dei pensieri già mi trovo all’ingresso del centro storico del Borgo non contaminato della fiera che si assesta al semaforo della provinciale. Il passo pedonale si è fatto ormai proibitivo mentre anche il sole nel suo sciviolare ancora ci ricorda che la primavera sincera ancora un po’ si farà desiderare. il tempo di un fugace spuntino dolce e salato, il lento aprirsi un varco nella moltitudine di Valdinievole che qui si è data appuntamento, poi la strada di casa, Montecarlo.
Una fiera notevole, tra le notevoli della nostra zona, dispersa nei secoli e caratterizzatasi per la vendita delle piante da fiore e da frutto, seme paesaggistico di tutta la valle. Chissà quanto è cambiata nel tempo, quanto nel tempo cambiò la nostra in piazza d’Armi prima che gli anni sessanta ne decretassero il finire e il sorgere della Sagra del vino e del fiore che oggi è solo l’ombra di una vestigia identitaria che può e che deve essere recuperata alla memoria dei vivi, dei nascituri e de’ morti. Ve ne sarà cronaca certa, chissà se anche qualche foto seppiata in qualche archivio e cartolina. Chissà, di fatto la tradizione vive, ancora, ed attende sia raccolta dalla polvere in cui talvolta l’andare del tempo pare volerla relegare. Basta l’uomo e la sua volontà.
Vittorio Fantozzi di Taccone
C’è sicuramente molto di che discutere su questo aspetto ed è certo anche a provocar ed innescar la discussione che “Il Tordo” ha dispiegato di nuovo le ali nei cieli infiniti del web. Il montecarlese, essere di per se curioso e fatto tutto a modo suo, sia quello sul colle che quello alla sua ombra, quanto si contamina di lucchesità e quanto intinge se stesso nella bella Valdinievole? S’è conservato immune o ne porta secolare congenita semenza? Il quesito è tratto e noi torniamo alla fiera.
Mi sono deciso a far visita più attenta per questa edizione del 2008, per narrarne un po’ qui sul nostro blog, perdendo la vista oltre il contingente e avviandola a ritroso nei secoli fino all’alba di quella prima edizione che prende la data del 1367, periodo in cui spentisi i fumi infausti di Vivinaia prendeva lenta la vita della fortificantesi Mons caroli, più avanti Montecarlo.
Per chi si addentra alla fiera di sabato (24 marzo) nel primo meriggio è ancora facile poter trovare parcheggio lungo il profilarsi della maestosa villa Belvedere, silente nel suo vistoso declino non poco guastato dalla carogna innocente di un elicottero in disuso dei vigili del fuoco (una curiosità felice: andate sull’archivio dell’Istituto Luce sul web, registratevi, poi con il motore di ricerca interno digitate borgo a buggiano e vi comparirà, tra i documenti del Luce che citano la località, il filmato di inaugurazione del Belvedere nel 1940 come “casa del vigile del fuoco”. Interessante).
All’incedere del cartello stradale che segnala l’ingresso in frazione Santa Maria, a ridosso di una delle trattorie in antico stile ancor degne d’esser visitate e più ancora apprezzate, prende avvio il lungo serpenteggiare dei banchi in fiera ed è piacevole, sotto un sole che ancor troppo assentava in questo preludio di 2008, penetrarvi con curiosità quanti pieroangeliana. Non conto ma ben rimembro le innumerevoli visite che nel corso di questi lustri di vita ho fatto, con genitori e zie, amici e amoretti, ho fatto a questa ricorrenza, sperso nel fiume stretto della folla e distratto dai colori di infinite bancarelle.
Ecco i gazebo dei gruppi di volontariato e della solidarietà, ecco i banchi degli amici del Marocco e dei nuovi arrivati dalla galassia cinese, i chioschi mobili di salsicce fumanti e porchette monumentali che mi fanno dimentico della vicina ora del pasto, le gabbie di conigli e pesci rossi, ed i vivai di tanto sudore frutto esposti con solerzia dagli agricoltori di tutta una valle. C’è posto pure per un uomo dall’aspetto vissuto, non lungo il lato dei banchi ma in mezzo alla folla, con la sua scatola di cartone e gli immancabili “pali” a fiancheggiarlo mentre si adopera rapido e furtivo nel gioco delle tre campanelle.. e dove sarà la biglia, sotto l’una o sotto l’altro? Mentre le mani esperte confondono i primi “furbischeri” attratti dal facile guadagno di quei pezzi gialli e verdi d’euro che tanto anelano nelle tasche degli italiani. Forse non è tanto il guadagno, ci ripenso, forse è solo la voglia di giocare e di veder giocare ad un gioco che non c’è più, che non si vede più, vietato ammonito bandito eppur presente nell’immaginario e nei ricordi narrati o di gioventù di tanti dei nostri padri e nonni. Passo avanti, con un sorriso che sa di nostalgia, per poi incrociare due carabinieri in pattuglai, entrambi con le mani giunte dietro la schiena, e già penso al rapido e tonto dileguarsi della premiata ditta dei campanelli chissà per quale vicolo o campo.
Svicolo tra miriadi di passeggini e mamme truccate, felice di non ricordare che siamo un paese con natalità sotto zero e che domani, quei bimbi fattisi uomini, possano non essere i figli di una razza in estinzione da preservarsi in chissà quale riserva. Chiacchiera chiacchiera nel ruminar dei pensieri già mi trovo all’ingresso del centro storico del Borgo non contaminato della fiera che si assesta al semaforo della provinciale. Il passo pedonale si è fatto ormai proibitivo mentre anche il sole nel suo sciviolare ancora ci ricorda che la primavera sincera ancora un po’ si farà desiderare. il tempo di un fugace spuntino dolce e salato, il lento aprirsi un varco nella moltitudine di Valdinievole che qui si è data appuntamento, poi la strada di casa, Montecarlo.
Una fiera notevole, tra le notevoli della nostra zona, dispersa nei secoli e caratterizzatasi per la vendita delle piante da fiore e da frutto, seme paesaggistico di tutta la valle. Chissà quanto è cambiata nel tempo, quanto nel tempo cambiò la nostra in piazza d’Armi prima che gli anni sessanta ne decretassero il finire e il sorgere della Sagra del vino e del fiore che oggi è solo l’ombra di una vestigia identitaria che può e che deve essere recuperata alla memoria dei vivi, dei nascituri e de’ morti. Ve ne sarà cronaca certa, chissà se anche qualche foto seppiata in qualche archivio e cartolina. Chissà, di fatto la tradizione vive, ancora, ed attende sia raccolta dalla polvere in cui talvolta l’andare del tempo pare volerla relegare. Basta l’uomo e la sua volontà.
Vittorio Fantozzi di Taccone
1 commento:
La mia mamma, nativa di Borgo a buggiano, mi raccontava sempre di questa bellissima fiera in selva, che segnava l'inizio della primavera. Le ragazze per l'occasione si mettevano i calzini bianchi e la paglietta in testa a testimoniare la nuova, bella stagione!!! Ho sognato tanto con i suoi racconti! E grazie alle sue parole, amo il Borgo come se fosse il mio paese. Purtroppo dei nostri parenti non c'è più nessuno. La nonna è mancata, così come lo zio, detto il Pirata, il bar dei cugini Bernardi, chiuso, così pure il cinema. Però il paese resta lì, nella sua incantevole bellezza, custode di tante storie, anche della mia famiglia!! Grazie per il bell'articolo!!!
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