martedì 27 maggio 2008

STORIA E TRADIZIONI_I TORDI, I ROMANI... E GLI ALTRI



Scartabellando qua e là tra gli archivi ho recuperato un simpatico articolo apparso sulla prima pagina del periodico indipendente valdinievolino La Lanterna del giorno 17 Novembre 1921 e firmato dal giornalista Carlo Paladini. Eccolo qui sotto riportato:

I TORDI, I ROMANI… E GLI ALTRI.
Il re della mensa e il sovrano dell’armonia, il magister elegantiarum di tutti i volatili, arriva fra noi dagli alti monti del Settentrione, ghiotto di olive e di ginepro, verso le prime giornate del mite ottobre bacchico. Turista perfetto ed esperimentato, non oltrepassa il Mediterraneo…E soltanto nei mesi più freddi va a godersi le aulenti e folte verzure solatie dell’Egitto e dell’Arabia; si spinge financo- quando la tramontana e le brinate lo pungono- verso Madera torpida allattatrice. Magari… senza neppure aver letto il libro del Mantegazza! Nell’Italia centrale si ferma alla spicciolata, a branchi, a stormi, in comitive grosse e piccine: si trattiene in gran quantità nei centenari e lussuosi boschi maremmani, bellissimi ed estesi, sempre verdi, dalla luce opaca, semimovente e frastagliata; s’indugia fra le fresche selve delle Maremme e del Lazio, della Valdinievole e del Mugello, dove Filippo Panati, cacciatore e poeta così li salutò: Udite dei tordi al dolce spasso… Sono ancora i pacieri augei di passo.

Linneo oltre ad essere un grande scienziato, fu anche un artista squisito e chiamò il vispo ed agile e prelibato uccello canoro e silvano per eccellenza: turdus musicus. Il tordo è realmente il re dell’armonia! E la delizia dei popoli del settentrione, ravvivando d’inesprimibile letizia la maestà delle foreste. Quando in primavera il maschio (Dio ha voluto, nella sua misericordia infinita, che le mogli degli uccelli, a differenza di quelle degli uomini, non svernassero) è appollaiato sulla sommità delle querce, dei lecci, degli albogattici, degli ulivi, egli gorgheggia alto squillando, pieno di espressione geniale e con splendido timbro appassionatissimo sovra tutti gli altri cantori. Non c’è uccelliera, o parentaio, roccolo o boschetto di reputazione senza un “tordino” di nido, allevato e educato a cantare i versi: un canto simile, tale tesoro inesauribile di note limpide, di agili trilli, ora modulati, ora squillanti che si odono a gran distanza nel silenzio delle ore mattutine, non solo fa accorrere da lontano i tordi emigranti ma li rende attoniti e stupefatti. Eccoli a branchi che si alternano desiosi attorno al tenore incomparabile, contemplando estatici quasi per chiedergli: “Perché canti così? Perché, mentre noi fuggiamo il freddo, tu intuoni con tant’anima la canzone di primavera, la canzone dell’amore? I mesi hanno forse cambiato l’ordine loro? Forse non c’è più l’inverno e sei tu l’araldo della lieta novella? Mai folla di spettatori ammirò e salutò così un artista lirico. Io credo sul serio al linguaggio dei canori silvani: essi parlano cantando come diceva Adelina Patti.
I greci tennero il tordo in gran considerazione. Lo proclamarono cibo prezioso degli dei… E i Romani poco mancò che gli innalzassero un monumento, magari un tempio. Tantochè proibirono ai servi di mangiare la carne prelibata. I poeti lo magnificarono, sovrani e capitani vittoriosi, ricconi e buongustai gli dettero il primo onore della mensa, lo protessero e lo ingabbiarono per la stagione in cui non vedevano più. In Roma imperiale i tordi si vendevano tre denari per capo: circa quindici soldi dei nostri. Ora, però, i tordi cominciano a costare un franco e cinquanta e son più quelli che finiscono in Francia che quelli che quelli che si mangiano in Italia. I gaudenti di Roma per aver tordi in tutte le stagioni, li mantenevano in appositi vivai. I vivai nelle ville sabine ne portavano a centinaia sul mercato, quando già i tordi avevano lasciato il Lazio da un pezzo. Insomma per finirla con l’erudizione, i Romani erano famosissimi per acchiappare non solo, ma per ingrassare, mantenere e cucinare i tordi. E della famiglia legione alata si potea cantare ciò che si canta per un solo membro di essa, dell’uccello di Agrippina imperatrice, che per il canto, il suono e per la carne nessuno poteva eguagliare.
Dai padri Quiriti in poi, pochi s’incaricarono di rinnovare l’industria e le cure dei vivai… Fece un po’ eccezione Firenze durante il Rinascimento. Raccontano i cronisti che alcuni artisti famosi, dipingevano con maggior foga e genialità, dopo aver fatto una bella mangiata di tordi arrosto. E il Burchiello ratifica che una buona mangiata di tordi sviluppava il prurito canoro, talchè i migliori cori s’intonavano sempre facilmente e sonoramente, dopo un girato tordifero.
Il vescovo G. B. Campeggi, un ecclesiastico dirò così cospicuo, ghiotto e mattacchione, amico degli artisti e ingegnoso scopritore e illustratore d’ogni voluttà culinaria, manteneva nella sua villa di Tuscolano, una gran vivaio di tordi, intorno a cui svolazzavano saporitissimi epigrammi dettati in classico latino frizzante e irreprensibile.
Niccolò Machiavelli che cantò in versi il vino rubineggiante dei poggi fiorentini e che ogni mattina del passo ottobrino nella sua Villa di San Casciano Val di Pesa, era appassionato del capanno coi richiami, ha lasciato scritto del tordo: “E’ da notarsi che a mangiare di questi uccelli, oltre alla delicatezza del sapore, vi è anche il benefizio particolare della sanità; perché dall’alimento essi pigliano qualità. E come lo storno è infame per il pasto della cicuta, così il tordo è per la mortella, il ginepro e l’oliva, sanissimo; co’ loro ventrigli sono giovevoli all’orine, nell’altro alla rilassazione dello stomaco”. E con tanti bocconi amari che aveva dovuto ingollare, lo stomaco di messer Nicolò doveva esser davvero sciupato. Queste parole del Machiavelli furon poi copiate da tutti i libri uccellatori, cominciando dalla famosa uccelliera dell’Olindo, stampata oltre quattro secoli fa con gran lusso di tipi, di fregi, di figure. Guido Baccelli era un gran mangiatore di tordi e ne magnificava le qualità medicamentose dei suoi intestini, come Giuseppe Zanardelli lo fu dell’arrosto di uccelletti.
Ma, per oggi, basta per carità!
“Passan le belle idee come gli uccelli.
E si ammanta il pensier d’agili piume”.


Il tordo del forrone.

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