venerdì 2 gennaio 2009

Speciale_ Baffo festeggia i 90 anni! Auguri Carmignani di Montecarlo...

90 primavere eppure siamo a gennaio, dicevamo ieri avendo udito il Coro nostro della Collegiata, con il freddo che ci tormenta i piedi e ci accarezza gelidamente il viso. Almeno questo è quanto capita a me, mentre la Cercatoia si staglia lentamente innanzi al mio incedere verso la corte di Baffo, là dove osano i tordi, più che le aquile. Cercatoia... Cercatoia Alta... dovremmo proprio farti patrimonio Unescu dell'umanità, tanto per la magnificenza del tuo paesaggio che ti rende il giardino all'inglese di Montecarlo, quanto per la fauna umana che racchiudi tra i tuoi confini, tanto cara all'immagine ed alla storia recente e non della nostra Comunità. Baffo, alias Carmignani Lorenzo, è entrambe queste cose, immagine e storia vivente di una comunità profondamente ed orgogliosamente contadina, rurale se vogliamo riesumare un termine nobilitante, come è (E', presente?) quella di Montecarlo. Noi montecarlesi, che abbiamo il responsabile privilegio di poter vivere ancora nel verde, e non un “verde” qualsiasi, noi dipendenti fabbri sportivi avvocati operai dottori commercianti poeti autisti ristoratori maestre artisti, per un verso o per l'altro finiamo o cominciamo per essere un poco, e non poco, contadini: quando l'eredità della terra e del lavoro dei padri o dei nonni, quando quel terreno dietro casa fattosi lentamente frutteto od oliveto, quando un orto riesumato da chissà quale passato... e quella vigna che ci ha lasciato lo zio che non volevamo perdere e che abbiamo rimesso in piedi, consapevoli che perdendola, per ozio mentale e spirituale, avremmo disperso i ricordi e l'eredità che ad essa lega la propria vita.
Solo il tocco della mia suola sull'aia di casa Carmignani mi ridesta da questa voragine di pensieri, a quanto ci sia oltre ciò che ogni giorno mi circonda e che l'abitudine tende a sfocare. Fuso è sulla sua piazza, luogo che ovunque nel mondo so e sappiamo gli sia congeniale quanto il più chic dei salotti, nokia all'orecchio in contatto con la California – non La California livornese... - mentre riceve gli auguri e i saluti in questo giorno speciale. Nell'aria c'è serenità, non chiedetemi come si riconosca soltanto ne percepisco l'intensità tanto che, fin quando non ripartirò a sole tramontato, un sorriso beota contraddistinguerà la mia permanenza. Sono in corso i preparativi per i festeggiamenti che tra poco animeranno questa fattoria, tra i pochi angoli della campagna montecarlese a conoscere e ad esser conosciuta da ospiti di ogni parte del globo, eppure del festeggiato non c'è traccia, ne innanzi al posto di comando, in casa innanzi al camino, ne in cantina, il vero timone di questo galeone ancorato tra il vasto mare dei vigneti.
“Babbooo!” riecheggia più volte smorzando il ghiaccio la voce del figliol prodigo, fin quando eccolo, lo vedo comparire sull'uscio di casa, l'occhio che guizza, lo sguardo fiero, il cappello calato sulle ciglia a mo' di padrino, nella consueta composta eleganza tipica dei nostri “veci”. Inutile negarlo, il rispetto e le referenza si confondono manifestandosi nel medesimo istante, al punto che mi profondo in un saluto tra il formale ed il reverenziale talmente goffo da sbocciare felicemente infine in un caloroso abbraccio. Che cosa so di quest'uomo, che mi sorride e mi apostrofa nel suo più famoso slang, che imita gli ordini di un ufficiale prussiano? Classe 1919, un anno in meno dell'amica celebratissima Anna Maria Canali e del pluripatentato concittadino Gino Dante Carrara alias Ghiaia, novanta anni spesi su questa terra che solco assieme a lui mentre superiamo la soglia di casa. Decenni di memoria montecarlese che volgono al secolo, interrotti soltanto dalla seconda guerra mondiale, esperienza spesa sul tragico fronte iugoslavo, esperienza terminata nel migliore dei modi col ritorno a casa pochi giorni prima dell'armistizio dell'otto settembre e del collasso della Nazione, che tanti nostri soldati dimenticati condurrà prima allo sbando, spesso alla prigionia, in altri casi alla macchia ed ai drammi della guerra civile, per non più tornare. Esperienza che, proprio per la grande intensità degli eventi stessi, riaffiora nitidamente nella mente di Baffo, in una miriade di ricordi che non risparmiano nomi, cognomi, date, luoghi, momenti. Lo si ascolta in silenzio, senza che nessuno lo imponga, nemmeno l'educazione se è per questo, mentre innanzi al fuoco spento mi passa in rassegna cimeli di ogni tipo e di ogni provenienza, tutti doni di una vita e degli amici che amano frequentare questa ormai mitica parrocchia. Noto che i presenti cambiano costantemente posa attorno a noi, a formare di continuo un anello naturale di calore umano, come se il Baffo cicerone che ho davanti fosse la fiamma viva di questo camino spento. Presento i miei omaggi, il mio oro incenso e mirra che hanno le forme enogastronomiche di vino e dolci, ripenso al mio compleanno trascorso proprio qui il settembre scorso, ad ascoltare storie di un mondo che non c'è più e solo posso conoscere leggendo, mentre qui stasera come allora, lo posso ascoltare e lo posso vedere, negli occhi infiniti di questo amico. Ricerco gli occhi di mio nonno, quel Gino di Taccone che ancor mi manca, poi un gesto fermo rompe il cerimoniale e tutti riprendiamo, come rispondendo ad un magico comando, le funzioni di sempre, di ogni giorno. Chi torna a preparare la tavola, chi parte per recuperare i dolci, Baffo che conta le sedie affinché bastino agli attesissimi ospiti. Il telefono ha squillato di continuo, gli auguri vengono recepiti cortesemente, gli avventori dell'ultima ora rinviati al giorno dopo, ed io riparto meditando sulle parole vibranti di Fuso “a 90 ci siamo arrivati... chissà me ed il tuo babbo...”; un brivido mi percorre la schiena per schiantarsi sul cuore e soltanto una pacca sulle spalle riesce a dissimulare l'effetto di quelle parole. Riattraverso il colle, il paesello mi riaccoglie tra i saluti di chi intravedo posteggiato dinanzi al bar. C'è solo il tempo di entrare in casa per prendere le chiavi, che le voci dalla cucina reclamano la mia attenzione... mi affaccio, i miei al tavolo, il fuoco acceso... un sorriso è stretto da un groppo alla gola che mi impala senza esser visto e me ne vado.
Grazie Baffo, anche oggi che è il tuo compleanno hai saputo regalare qualcosa agli altri, anche a me. Non saprò mai tutto dell'uomo che sei, degli amori, della fatica, delle gioie e dei dolori tuoi, bensì faro testimonianza di cosa c'è nell'uomo che ho davanti: lo specchio della nostra identità comunitaria, il frutto del seme montecarlese, ciò che saremo qualunque cosa faccia il resto del mondo. Grazie Baffo, auguri.

Vittorio Fantozzi

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